Cile-Russia ’73: la partita che non esiste (ma che il Cile ha vinto)

Cile-Russia è stata una partita di qualificazione ai mondiali del 1974, uno spareggio decisivo che avrebbe decretato quale delle due squadre avrebbe partecipato al torneo. Una partita come tante altre, nella storia del calcio, che si è giocata il 21 novembre del 1973. O, meglio, che non si è giocata il 21 novembre del 1973. Perché in quell’occasione la nazionale russa (più precisamente la nazionale dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) decise di non partecipare allo spareggio.

E lo fece per motivi strettamente politici.

Antefatti

Nell’estate del 1973 il presidente del Cile Salvador Allende licenzia il Capo di Stato maggiore, Carlo Prats, e affida l’incarico a un uomo di sua fiducia: il generale Augusto Pinochet. Sebbene sia ora conosciuto come “il più grande cileno della storia“, all’epoca Allende era considerato una figura controversa: non godeva dell’appoggio totale di un paese socialmente e politicamente molto diviso; non era amato dalla Chiesa Cattolia; era inviso a molte potenze straniere – su tutte gli Stati Uniti d’America, che lo consideravano un nuovo Fidel Castro. In questo clima teso e dopo anni di importanti riforme sociali, avviene l’irreparabile: l’11 settembre del 1973 Pinochet si ribella al governo di Allende, invade letteralmente la città di Santiago e conquista il Palazzo Presidenziale manu militari. Per alcuni il ruolo degli USA fu fondamentale, ma questa è un’altra storia.

In quel momento Pinochet dava vita a una delle più violente dittature della storia del Sudamerica, ma all’epoca questo ancora non si poteva sapere. All’epoca però si sapeva una cosa: con il golpe era caduto il primo presidente marxista democraticamente eletto della storia. Salvador Allende lascio il potere e morì il giorno della presa del Palacio de la Moneda. E questo all’Unione Sovietica non piacque per niente.

La qualificazione in ballo e la grande tensione

La formazione del Cile del 1973

La partita d’andata si giocò regolarmente, allo stadio Lenin di Mosca, il 26 settembre. La situazione politica era già nel caos: Aleksej Kosygin aveva formalmente rotto i rapporti con le autorità cilene e il viaggio della nazionale sudamericana in Russia fu una vera odissea.

Sulla partita venne fatto calare il silenzio stampa: solo a una manciata di giornalisti – tutti sovietici – venne permesso di assistervi. Sappiamo solo che l’URSS attaccò a testa bassa ma che la sfida finì comunque 0-0. Si sarebbe dovuto giocare tutto nel match di ritorno.

Ma dove e quando si sarebbe giocato? Data prevista: 21 novembre. Luogo deputato: l’Estadio Nacional de Chile Ñuñoa, provincia di Santiago. Lo stesso stadio che le cronache riportavano come il campo di concentramento in cui venivano rinchiusi gli attivisti politici contrari al regime. Un tempio dello sport trasformato nell’inferno in cui si perdevano le tracce dei desaparecidos cileni: nello stadio avvenivano detenzioni, interrogatori ed esecuzioni. Un storia drammatica raccontanta molti anni dopo dal documentario Estadio Nacional.

L’URSS – che pure non aveva la coscienza pulita in fatto di repressione degli oppositori – si rifiutò categoricamente di giocare in quello stadio: Cile-Russia si doveva giocare in campo neutro. Un proposta a cui gli stati generali di Pinochet naturalmente si opposero, ma che trovò il parere contrario anche della Federazione Internazionale. Dopo due mesi di tentativi e di trattative andate a vuoto, le autorità sovietiche decisero di non concedere i visti alla propria nazionale, rinunciando così alla partita e al mondiale.

Nel telegramma inviato alla FIFA dal Cremlino si legge:

Gli sportivi sovietici non possono giocare nello stadio macchiato del sangue dei patrioti cileni.

 

La partita irregolare e il gol in fuorigioco

La cosa buffa fu che quella partita, che non si poteva giocare, alla fine si giocò. Scese in campo solo il Cile, e vinse con un gol in fuorigioco. Detta così sembra paradossale, e in effetti quello che si verificò quel giorno ebbe qualcosa di surreale; ma andiamo per gradi.

Cile-Russia non si sarebbe dovuta giocare, perché la Russia non c’era. Il regolamento stabilisce infatti che una partita non possa essere giocata se una squadra si presenta con meno di 7 giocatori. E tantomeno se una squadra non si presenta proprio.

Ma poniamo per assurdo che la partita si giochi lo stesso; e che una delle due squadre giochi con un numero di calciatori inferiore a 2. In questo caso quasi nessun gol dell’altra squadra sarebbe valido, perché sarebbe nel 99% dei casi in fuorigioco. Si è in fuorigioco, infatti, se si riceve la palla quando si è in una posizione più vicina alla linea di porta rispetto alla palla stessa o al penultimo avversario. Se ci sono solo 1 o addirittura 0 avversari, qualsiasi passaggio oltre la metà campo implica un fuorigioco. Potrebbero andare regolarmente in gol solo palloni calciati dalla propria metà campo.

Ma quest’ultimo caso non si verificò durante quel Cile-Russia. Quella non-partita inizio con un normale calcio d’inizio e proseguì con un’azione farsa che, di passaggio passaggio, arrivò fino alla deprimente conclusione di Francisco Valdés e al conseguente 1-0.

I mesti eroi di Cile-Russia: Francisco Valdés e Carlos Caszely

francisco valdés camacho
Francisco “Camacho” Valdés

Francisco Segundo Valdés Muñoz era l’idolo della folle. Leader e capitano del Colo-Colo negli anni Sessanta e Settanta, è tuttora il giocatore ad aver segnato più gol nel campionato cileno. Quello messo a segno nel match famigerato, fu uno dei nove che segnò in nazionale. Nazionale di cui era capitano.

Valdés proviene da una famiglia operaia, del basso proletariato cileno, ed è un convinto militante di sinistra. L’assist decisivo gli arriva da Carlos Caszely, suo compagno al Colo-Colo, che fu uno dei pochi sportivi a schierarsi apertamente contro il regime militare di Pinochet. Si dice che Caszely fosse d’accordo con i compagni per avere la palla all’interno dell’area di rigore, davanti alla porta sguarnita. Si dice che il suo piano fosse quello di calciare fuori, di proposito: la FIFA ordinò al Cile di giocare quella partita e segnare quel gol simbolico, per partecipare ai mondiali; lui però non se la sentiva. All’ultimo non se la sentì nemmeno di sparare il pallone in curva, come previsto. Quando giunsero allo stadio, i giocatori subirono controlli e minacce; sapevano che in quello stadio ci sarebbero potuti tornare, ma non da calciatori: da detenuti.

Si dice che Francisco Valdés non si aspettasse quel pallone, che doveva essere calciato dal compagno. Quando gli arrivò fra i piedi la paura prese il sopravvento e lui lo mise in rete, come il governo e la FIFA gli avevano chiesto. Si dice che, finita la sceneggiata, Valdés corse negli spogliatoi per vomitare.

In quello stesso stadio, quello stesso giorno, venne disputata anche un’amichevole tra lo stesso Cile e il Brasile. Una partita che serviva a regalare un minimo di spettacolo ai 18.000 che avevano comprato il biglietto e avevano avuto il coraggio di presentarsi allo stadio, forse più per cercare i parenti scomparsi che per godere del calcio. Il Brasile vinse segnando 5 reti e senza subirne alcuna. I giocatori del Cile avevano voglia di tutto tranne che di giocare.

Epilogo: il Cile ai mondiali del ’74

La squadra dunque si qualifica e gioca il campionato del mondo che si svolge in Germania l’anno successivo. Un torneo che per il Cile si rivela tutt’altro che glorioso. La Roja viene eliminata alla fase a gironi, in cui conquista solo due punti e segna la miseria di un gol. Passa però alla storia, suo malgrado: proprio Caszely, infatti, è il primo giocatore della storia ad essere stato espulso. Succede al limite dell’area, dopo che Berti Vogts gli ruba la palla con un intervento pulito: il “Re del metro quadrato” gli entra sulle caviglie senza tanti complimenti e si becca un rosso diretto. Ammonizioni ed espulsioni erano la grande novità di quel mondiale. Al Cile è spettato l’amaro onore di inaugurarle.

Quel Cile-Russia del novembre 1973 ha favorito il Cile. Ma di certo non gli ha portato fortuna.