Il dott. Bepi e l’italiano: piuttosto che…

Riaccendo una polemica linguistica che mi sta a cuore per scagliarmi contro l’imperante moda dei piuttosto che usati alla membro di segugio (per non dire alla cazzo di cane), ovvero senza la minima e dovuta cognizione di causa, con la velata intenzione, forse, di darsi un tono.

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Ne nascono frasi di questo tipo:

“Mi piace molto la musica e ascolto un po’ di tutto: Van Morrison piuttosto che Miles Davis piuttosto che Pinco Pallo etc.”

Questo, in italiano, significa: “Preferisco Van Morrison a Miles Davis e/o a Pinco Pallo etc.”, ma il messaggio che si vuole far passare è, orrore degli orrori, “mi piacciono sia Van Morrison che Miles Davis che Pinco Pallo etc.”

Facciamo notare che le cose non funzionano proprio così.

E purtroppo non si assiste a casi isolati: lo stupro dell’italiano si perpetra nel piuttostocheismo arbitrario contemporaneo, che ormai ha preso piede e sembra non doversi fermare più, come il peggiore dei morbi che popolano molti filmacci americani degli anni ‘90. Dopo L’esercito delle dodici scimmie assisteremo a L’esercito dei piuttosto che?
Ci tengo a ribadire, perciò, che il sintagma “piuttosto che” forma una congiunzione comparativa e non disgiuntiva: equivale, se vogliamo, a “invece di” non a “o/oppure”; è bene saperlo, in modo da evitare equivoci. Purtroppo, però, il fenomeno sta prendendo piede anche in forma scritta, purtroppo anche in ambito giornalistico e, disgustosamente, negli ambienti accademici.  La cosa è davvero imbarazzante, dacché dovrebbero essere i professionisti della lingua i primi a dare la giusta attenzione a un uso corretto del proprio strumento di lavoro. E non dovrebbero essere i laureati (non solo in lettere) in grado di maneggiare senza imbarazzi la propria lingua madre? Evidentemente, non sempre è così.

Non ci resta che un consiglio: piuttosto che dire fesserie, state zitti.

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