Martina Grimaldi salva il nuoto azzurro dal rimanere all’asciutto.

L’Italia rischiava seriamente di finire come quei pescetti sfigati che per uno stupido motivo si ritrovano fuori dalla loro sicura e comoda boccia d’acqua. Negli anni passati, le gare in piscina avevano sempre portato grandi soddisfazione al nostro tricolore assicurandoci medaglie dal valore indiscutibile. Spesso si era guardato con curiosità al nuoto di fondo, nonostante avessimo sempre potuto contare su tritoni e sirene di grandi capacità.

Fino ad oggi a Londra si contavano pile di asciugamani abbandonati e corpi seccati sotto la penuria di vittorie. Docce azzurre piene di calcare, esaurite prima di emettere un filo d’acqua. “Il nuoto italiano è morto sotto l’ombra del Big Ben”. Mormorii che sottolineavano i fallimenti della coppia Magnini-Pellegrini, le sfortune di Tania Cagnotto e l’impotenza dei giovani nuotatori azzurri.

La spedizione italiana in Gran Bretagna lasciava corpi asciutti e arsi dalla sconfitta. Bruciati dal sole delle delusioni che afflosciava ogni piccolo piazzamento e sollevava nugoli di polvere cartacea, sicuramente poco indulgente con i nostri pesci sbranchiati. Zero medaglie. Zero il livello d’ossigeno che la federazione vedeva segnato sulla sua bombola, notoriamente molto più capiente.

Poi è arrivata lei, Martina Grimaldi. Si è tuffata nel Serpentine Lake di Hyde Park è per dieci km ha accumulato così tante bracciate che a contarle anche Visnù avrebbe fatto una certa fatica. Un bronzo che serviva come l’aria al nuoto italiano per appigliarsi a qualcosa di positivo da cui ripartire. In attesa di Cleri, altro pesce abituato a nuotare in mare aperto, abbiamo un bronzo che significa tanto. Quel minimo che ci permette di non buttare tutto nel cesso e tirare l’acqua, come spesso fa chi assiste alla morte di un pesce rosso in una triste bolla d’acqua casalinga.

 

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