Dopo aver assistito alla prematura uscita di scena di Roger Federer e Rafa Nadal nonché le prestazioni altalenanti degli altri big, era più che lecito aspettarsi qualcosa di inusuale per quest’edizione di Wimbledon. Alla fine però, Nole Djokovic e Andy Murray sono riusciti ad arrivare in fondo e a contendersi il titolo.
Il serbo ha dovuto fiaccare le resistenze di Juan Martin Del Potro, tornato ad avere un braccio bionico. Cinque set di pugni e bombarde, senza esclusioni di colpi: 7-5 4-6 7-6 6-7 6-3. Duecentoottantatré (scritto così sembra più enfatico) minuti di sofferenze e rovesciamenti d’inerzie. Un grande match.
Lo scozzese aveva un compito più facile ma, viste le paure lasciate dal turno precedente con Verdasco (vittoria in cinque set dopo una disperata rimonta), la perdita del primo set contro il polacco Jerzy Janowicz ha preoccupato non poco i sudditi di sua maestà. Dopo questo passaggio a vuoto però la gara si è rimessa subito sui binari giusti per Murray: 6-7 6-4 6-4 6-3. Un applauso al polacco e tanti saluti per il ritorno a Varsavia.
Una finale in cui tutto può accadere. Il fattore stanchezza sarà determinante così come uno stato di forma che per tutto il torneo ha avuto qualche difficoltà a carburare per entrambi. I più felici sono gli organizzatori: un britannico in finale insieme ad uno dei quattro giocatori più forti al mondo è uno spettacolo che garantirà introiti e una bella dose di pubblicità. Pericolo scampato: non ci sarà un atto conclusivo diverso, con meno interesse e sex appeal; la sfida tra Pinco Pallino e Lupo Albertino dovrà aspettare un’altra edizione.
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