Paolino abita davanti allo stadio. La storia d’amore tra Paolo Poggi, il Venezia e i suoi tifosi (pt.3)

di Tommaso Vianello 

MIA CARA VENEZIA (VOLUME III)

Per la quarta volta, dopo l’esordio professionistico e i due ritorni targati 2002 e gennaio 2004, Paolo Poggi torna dunque a vestire l’amata maglia arancioneroverde nell’estate del 2006. Se il biennio precedente, per il bocia di Sant’Elena, è stato costellato di soddisfazioni, altrettanto non si può dire per il Venezia: al terzo tentativo, nel 2004/05 Franco Dal Cin riesce infatti a far retrocedere la squadra (allestita in maniera imbarazzante), togliendosi anche la soddisfazione di invischiare la società nella fosca faccenda della compravendita dell’ultima partita di campionato con il Genoa e, non contento, portando nell’estate del 2005 i libri contabili in tribunale causa fallimento. Un’annata purtroppo indimenticabile per il tifoso veneziano, al termine della quale l’unica soddisfazione sembra quella di poter, finalmente, ripartire da zero, perlomeno con un progetto degno di questo nome. 

Il sindaco Massimo Cacciari affida il nuovo corso del calcio lagunare ad una cordata di imprenditori locali guidata dalla famiglia Marinese, che approfitta del Lodo Petrucci per ripartire dalla serie C2 anziché dai Dilettanti. Nel 2005/06, nonostante un avvio di campionato disastroso a cui segue l’esonero di Andrea Manzo in favore di Nello Di Costanzo, la squadra vince il proprio girone e sale in C1, mettendo in mostra un collettivo forte con alcune ottime individualità specie in attacco: i giovani Moro e Pradolin (quest’ultimo sino a pochi mesi in curva a tifare e tirato a lucido dal nuovo allenatore) sono la faccia bella di un Venezia che gioca bene e richiama allo stadio un pubblico sempre più numeroso e appassionato. È il “Di Costanzo show”, come si sente cantare dagli spalti subito dopo le prime vittorie portate dal nuovo corso di Nello, allenatore capace e mai banale nelle dichiarazioni, dotato di umanità e intelligenza. Se la vita è un insieme di reazioni chimiche, non fa eccezione lo sport e lo dimostra proprio il biennio di Nello Di Costanzo in laguna: tra il mister, i tifosi e la squadra si instaura una chimica perfetta, quelle cose che non capitano spesso, tantomeno alla tua squadra, tantomeno se si chiama Venezia. 

C’è forse un solo modo per creare ancora maggiore empatia nell’ambiente e lo capiscono subito i fratelli Poletti, ad inizio stagione partner di minoranza nella cordata Marinese e divenuti con il passare dei mesi presenza sempre maggiore e sempre più ingombrante nelle quote societarie. Di certo, con quella faccia per entrambi rubiconda e l’entusiasmo di chi diviene improvvisamente un personaggio conosciuto, Ugo e Arrigo Poletti in un primo momento suscitano simpatia, anche nelle banche che concedono loro ampi crediti. Parte di questi, viene investita sul Venezia, spodestando di fatto la famiglia Marinese per assumere il pieno controllo della società, di cui Ugo e Arrigo Poletti divengono quindi i vertici. Il mercato per la serie C1 è di quelli importanti, specie nel reparto d’attacco dove vengono presi Francesco Zerbini e, appunto, Paolo Poggi, mossa perfetta sia per il campo (a Mantova ha dimostrato di essere ancora un signor giocatore), sia per ingraziarsi definitivamente l’ambiente. Missione compiuta, perché l’entusiasmo, ai nastri di partenza della stagione 2006/07, è palpabile.

Il Venezia 2006/2007. Da sinistra: Zerbini, Lotti, Melucci, Mayer, Tacucci, Poggi In basso da sn: Scantamburlo, Piovesan, Pradolin, Bono, Collauto. Fonte Calciovenezia.com

 

Palpabile e ben riposto: il Venezia di Nello Di Costanzo è una macchina quasi perfetta, che sin da inizio campionato si insedia nelle zone alte della classifica. Poggi si inserisce in questo meccanismo con la consueta umiltà, facendo sentire ai più giovani l’attaccamento ai colori arancioneroverdi e dispensando perle di intelligenza per il campo. Dopo Udine, il suo modo di giocare è cambiato, non fosse altro per l’età: le sgroppate sulla sinistra hanno lasciato spazio ad un gioco più ragionato, libero di agire a supporto di una punta centrale. Lontano un miglio, si vede subito che quel giocatore è di un altro spessore rispetto al 99% dei colleghi della serie C, eppure ciò non gli impedisce di essere il primo a dare l’esempio quando si tratta di correre, lasciando da parte il fioretto per tirare fuori la sciabola. Per una tifoseria, non c’è cosa più bella di vedere il proprio stesso sentimento verso la maglia emergere dal comportamento di un giocatore: in quel Venezia, composto da “nostrani” come Poggi, Collauto, Pradolin, Scantamburlo e da “figli adottivi” come Aprea, Lotti, Servidei, Moro, ogni tifoso vi può ritrovare la stessa passione e questo contribuisce a rendere ancor più magica un’annata comunque importante dal punto di vista sportivo. All’ultima giornata di campionato, infatti, un gol oltre al 90° di Romondini contro il Pisa regala al Venezia di Nello Di Costanzo il meritatissimo accesso alla fase dei playoff per conquistare la serie B. Ironia del destino, sarà ancora il Pisa l’avversario degli arancioneroverdi, costretti poi a soccombere nella doppia sfida di semifinale (1-1 al Penzo, 3-1 toscano all’Arena Garibaldi), ultimo atto del “Di Costanzo show”: l’allenatore, difatti, si farà ammaliare dalle sirene della serie B accettando l’offerta del Messina, dove lo seguirà anche Marco Moro. 

Nella successiva estate 2007 iniziano ad emergere i primi scricchiolii in seno alla società, tuttavia inizialmente le voci attorno ai fratelli Poletti e alla loro situazione finanziaria vengono rappresentate come le solite “cassandrate”: purtroppo non sarà così. Poggi e gran parte della squadra vengono confermati, mentre in panchina arriva dalla Primavera della Juventus Giancarlo Corradini: la sua esperienza arancioneroverde dura una sola giornata di campionato (1-2 in casa con la Cremonese), abbastanza secondo Arrigo e Ugo Poletti per sancire l’immediato esonero in favore di Fulvio D’Adderio. La chimica che si era instaurata nel gruppo con Di Costanzo, però, è frattanto svanita, complice pure una gestione dirigenziale poco chiara. Il campionato (tra l’altro quello in cui il Venezia festeggerà il Centenario) è anonimo, tanto che a marzo i Poletti optano per un ulteriore avvicendamento tecnico, chiamando il veneziano Michele Serena a dare un’anima alla squadra. La stagione termina con l’undicesimo posto, specchio fedele di un’annata piatta, senza sussulti e giornate da ricordare gelosamente. A fine stagione, gli scricchiolii dell’estate precedente sono nel frattempo divenute vere e proprie crepe, ad intaccare le fondamenta del progetto sportivo arancioneroverde: le Cassandre avevano ragione.

 

Il Venezia 2007/2008 con la maglia Centenario. Da Sinistra: Mei, Lotti, Pesoli, Mateos, Veronese, Poggi. In basso da sn: Antenucci, Brevi, Scantamburlo, Teoldi, Mattielig. Fonte Calciovenezia.com

Nel 2008/09 Paolo si prepara ad affrontare la terza stagione consecutiva al Venezia; forse vorrebbe appendere gli scarpini al chiodo, ma la situazione societaria impone altro: serve unire le forze di tutti coloro che amano il Venezia per affrontare un campionato che si preannuncia sin dall’inizio difficoltoso, fuori dal campo soprattutto, e la figura di Poggi è fondamentale per tenere unito l’ambiente. Non è il solo, però, a battersi come un leone: in panchina c’è Michele Serena; sul terreno di gioco, oltre a Paolo, l’altro veneziano Mattia Collauto ed i portieri Lotti e Aprea costituiscono l’anima e la spina dorsale di un gruppo costruito con poche risorse e che, sin dai primi mesi, fatica a ricevere gli stipendi. Si naviga nei bassifondi e i Poletti hanno la brillante idea (contro il parere della squadra) di esonerare all’undicesima giornata mister Serena; al suo posto arriva Stefano Cuoghi, ma i risultati non mutano di una virgola e, anzi, peggiorano. Dopo altri 12 turni, la società è costretta a ritornare sui propri passi richiamando Serena, con il quale la squadra dimostrava perlomeno carattere: l’allenatore ricompatta il gruppo e inizia una risalita che consente al Venezia di evitare la retrocessione diretta e di agguantare i playout (avversaria la Pro Sesto), anche sulla spinta di indiscrezioni sempre più concrete che danno per compiuto il passaggio di proprietà verso mani in apparenza più sicure. 

Si arriva così al “dentro o fuori” contro la Pro Sesto, decisivo pure ai fini del ventilato cambio al vertice della società: se si vince si rimane in serie C1 e arriva una misteriosa proprietà iraniana (presidente tal Shardhad Golban) a rilanciare il calcio veneziano verso palcoscenici prestigiosi; se si perde, invece, non solo si retrocede sul campo, ma in aggiunta si fallisce e si torna tra i Dilettanti. Insomma, quella pressione che fa bene alle coronarie del tifoso, il quale si aggrappa alla doppia sfida con la Pro Sesto come all’ultimo salvagente prima di affondare per la seconda volta in pochi anni. Ad aggiungere ulteriore pepe vi è poi altro, dato che nelle settimane precedenti è divenuto ufficiale ciò che molti sospettavano: a fine stagione Paolo Poggi lascerà il calcio giocato.

L’ultimo atto di Paolino al Penzo inizia con la consegna di una targa celebrativa. Una cosa che ricordo solo ora, rivedendo alcune immagini: troppa la tensione per il primo capitolo di quella doppia sfida playout, tale da far passare in secondo piano anche il saluto del “mio” idolo al “suo” stadio, quello che ha circondato la giovinezza del giovane Paolo trascorsa con un pallone tra i piedi nella pineta di Sant’Elena. Non c’è Poggi che tenga quando sei con l’acqua alla gola e la squadra del tuo cuore rischia il fallimento: lo sa anche Paolino, perché anche il suo, di cuore, batte per l’arancioneroverde e, infatti, fa scorrere via quella breve cerimonia senza allungarla con gesti particolari, concentrato unicamente sul campo. Riceve la targa, la consegna alla panchina e si rituffa sul campo dove c’è una vittoria da conquistare, senza tanti fronzoli. 

A fine primo tempo, il risultato è ancora di 0-0, equilibrio spezzato al rientro in campo dal vantaggio della Pro Sesto. “Puttanatroiasiamofottuti”, pensa all’unisono tutto lo stadio, ma fortunatamente, alla pochezza tecnica, il Venezia sopperisce con un gran carattere: dopo 15 minuti dal vantaggio ospite, Malatesta trova la parità e a 10 minuti dalla conclusione, Momentè porta avanti i lagunari. Non bastasse, in pieno recupero ancora Malatesta sigilla il 3-1, risultato forse pure troppo largo, ma poco importa. Ciò che importa è che il Venezia possa andare a Sesto S.Giovanni avanti di due reti e che Paolino Poggi (uscito sul punteggio di 1-1 a metà secondo tempo) sia riuscito a congedarsi dal suo Penzo con un successo pesantissimo. “Peccato non gli abbiano dato neppure una targa”, penso tra me e me mentre esco dallo stadio, ancora ebbro di gioia e decisamente poco lucido.

Paolo Poggi alla sua ultima partita sulla copertina di Ve.Sport (N.5 maggio-giugno 2009). Fonte Calciovenezia.com

Sesto San Giovanni la conoscevo, di fama, sin da ragazzino: troppo accattivante l’appellativo di “Stalingrado d’Italia” per non subirne il fascino. La naturale simpatia, ispirata da questa cittadina per la propria storia di Resistenza e di lotte operaie, subì una temporanea interruzione in quella tarda primavera del 2009, in cui per la salvezza del Venezia sarei stato pronto a disconoscere qualsiasi riferimento politico o culturale; mi avvicinai dunque al match di ritorno ovviamente preoccupato non fosse sufficiente il doppio vantaggio maturato al Penzo e con una vaga, insana ed atipica simpatia verso lo zar, fortunatamente mai più ripresentatasi.

In realtà la sfida di ritorno a Sesto San Giovanni ha ben poco storia: i lombardi non danno mai l’idea di poter ribaltare il risultato, a maggior ragione dopo il vantaggio veneziano a firma “Ibe-Ibe” Ibekwe; al triplice fischio, è 1-1 e per il Venezia e i quasi 1000 tifosi al seguito può scatenarsi la festa. Lungo l’autostrada, i bus della squadra e dei tifosi si danno appuntamento in autogrill e sul piazzale antistante tutti ballano, tutti si abbracciano, tutti cantano; anche cori goliardici a favore dell’Iran e della nuova presidenza, che in quelle ore sembra capace di evitare il fallimento facendo tornare i colori arancioneroverdi, in poco tempo, su palcoscenici maggiori. Poggi dunque si congeda dal calcio giocato raggiungendo quello che sembra il traguardo necessario a dare un futuro al calcio in laguna, preludio ad un avvenire in cui, magari, iniziare a dare una mano da dirigente.

Non sarà cosi, purtroppo: Golban, con il suo fantomatico progetto iraniano, sparirà nel giro di poche settimane, i fratelli Poletti faranno affondare il Venezia. Gli sforzi compiuti dalla squadra (senza stipendio da mesi), la festa seguita alla salvezza, i progetti di rilancio: alla luce degli sviluppi estivi, tutto assume i contorni della tremenda beffa, ulteriore presa in giro per una piazza che assisterà, durante quell’estate del 2009, al secondo fallimento in pochi anni, forse ancora più amaro del primo proprio per quell’illusione di “scampato pericolo” che l’aveva preceduto.

CONCLUSIONE

Nel 2009/10 il Venezia riesce ad iscriversi in serie D grazie a qualche imprenditore locale, mentre Paolo Poggi inizia da Mantova il percorso dietro la scrivania; un percorso che lo porterà, nel 2013, nuovamente in Friuli, dove si occuperà del settore giovanile dell’Udinese. Contemporaneamente il Venezia è nel pieno della sua “rivoluzione russa”, iniziata due anni prima con l’arrivo di Yuri Korablin alla presidenza, a cui segue uno Scudetto di serie D e una doppia promozione sino in LegaPro (il corrispettivo della “vecchia” C1). Più che una rivoluzione, tuttavia, si tratta della solita minestra: nell’estate del 2015, per la terza volta in meno di un decennio, la maggior realtà sportiva della città dichiara fallimento e si prepara a ripartire, ancora, dai Dilettanti. Dai russi, si passa alla cordata americana capeggiata da Joe Tacopina, presidente statunitense di origine italiane a cui si può rimproverare tutto, ma non passione e capacità di percepire l’umore della piazza; tra le sue prime decisioni, vi è quella di richiamare alcune bandiere del passato per far parte del nuovo corso e, tra queste, non può mancare Paolo Poggi che, nel 2016, fa così ritorno per l’ennesima volta nella società che più ama.

Oggi, all’inizio di questa casalinga primavera 2020, Paolino è ancora un dirigente di primo piano del Venezia e già questa, per me, è una buona cosa, non fosse altro perché nel frattempo non sono intervenuti ulteriori fallimenti e gli arancioneroverdi, nel giro di un paio di stagioni, sono riusciti a risalire dai Dilettanti ad una serie B che mancava da oltre un decennio. Sinceramente non so quanto il progetto americano possa ancora durare e, visti alcuni recenti sviluppi, non mi stupirei se tra qualche mese il Venezia dovesse nuovamente partire da zero. 

Quando mi prende il pessimismo cosmico, comunque, penso a Poggi, al suo attaccamento per questi colori, ad una resilienza tipicamente veneziana; e mi convinco che, finché ci sarà lui, qualcosa di buono capiterà sempre. Magari è esercizio inutile, però è terapeutico e tanto basta. Vive ovviamente ancora a Venezia, Paolino, ora nel sestiere di Cannaregio, lo stesso dove mi sono trasferito a mia volta; assicuro si tratti di una coincidenza, sia mai qualcuno volesse accusarmi di stalkeraggio. Comunque, per la cronaca, la distanza tra le due abitazioni, curiosamente, è praticamente la stessa che ci separava a Sant’Elena, però al momento non gli ho ancora suonato il campanello.  Non ho mai avuto l’occasione di confessargli questo mio irrazionale amore nei suoi confronti e, anche fosse capitata, me la sarei fatta sfuggire, più o meno di proposito. Ci ho anche giocato, insieme a Poggi, su un campo di calcio, nella medesima squadra: categoria amatori, Nettuno Lido, campione d’Italia 2009. Non è da tutti dividere lo spogliatoio con il proprio beniamino, eh, dite la verità? Sì, ok; forse non era Paolo, era Stefano, il fratello minore, però cosa importa? Il mio bimbo interiore di 8 anni, ancora lì imbarazzato davanti ad una porta sconosciuta, è stato felicissimo lo stesso, come un pomeriggio di metà settimana di tanti anni fa.